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Una politica per i migranti

Una politica per i migranti

Negli ultimi decenni le società più agiate hanno visto crescere in modo esponenziale il flusso migratorio dai paesi in crisi economica o a causa di guerre. Si è scatenata una campagna di odio e tifoserie senza precedenti e con scarsi elementi di razionalità. Qualcuno ha fondato le proprie fortune elettorali (e di potere) grazie agli incitamenti la ventre dei cittadini (vedi USA, vedi Europa). Nessuno affronta la questione in modo razionale con proposte minimamente decenti e ci si divide in due grandi campi: gli xenofobi (paurosi di qualunque straniero) che vorrebbero frontiere blindate e respingimenti di massa; i buonisti che guardano esclusivamente al "diritto umanitario", consegnando, di fatto il consenso di massa (doxa) agli xenofobi, che nella disfida ideologica vincono a mani basse.

Proviamo a riordinare le questioni.

  1. gran parte del flusso migratorio è stato preparato nei decenni precedenti (da Thatcher/Reagan in poi) con la retorica del "costo del lavoro". Gli industriali, ubriacati e ossessionati dal ricercare un "minore costo del lavoro", si sono spasmodicamente messi alla ricerca del migrante meno costoso. Ciò ha determinato un peggioramento delle condizioni economico-lavorative dei salariati occidentali, che hanno riversato la loro rabbia accusando i migranti per il loro depauperamento. Le masse impoverite si sono rivolte, elettoralmente, a chi si proponeva come "faccia truce" contro la cosiddetta invasione. (basti qui ricordare i manifesti della Lega in Italia che paventavano per i proletari italiani una fine simile a quella toccata dai Sioux, ossia di finire nelle "riserve indiane" assediati da masse di migranti). Questa propaganda, rozza ma efficace, ha fatto breccia nelle condizioni precarie dei lavoratori.

  2. Lo slogan "aiutiamoli a casa loro" è stato giudicato dai "buonisti" con sufficienza e antipatia; dagli xenofobi come un modo per sbarazzarsi da fastidiosi mosconi. Nessuno ha voluto approfondire cosa significa e come potrebbe essere attuato. Ad esempio se si partisse dalla constatazione che nessun essere umano prova piacere nel "tranciare le proprie radici" e che la maggior parte resterebbe nelle proprie terre d'origine se ne avesse la possibilità, si farebbe già un passo avanti. Allora occorrerebbe chiedersi cosa possono fare i Paesi opulenti nei confronti dei territori, spesso ex colonie, devastati dallo sfruttamento e dalla rapina coloniale. Servirebbero quindi ingenti politiche solidaristiche e cooperativistiche nei confronti di quei cittadini dei paesi "poveri", superando la logica dello scambio (di per sé ineguale) generatore di debiti che i paesi coloniali e semicoloniali non potrebbero mai ripagare, e superando la carità che fino ad oggi ha caratterizzato alcune politiche "umanitarie". Dare solo aiuti alimentari non emancipa il contadino povero che dipenderà sempre dalle "donazioni umanitarie". Occorre fornire strumenti adeguati (ad esempio donare ai contadini riuniti, trattori e macchine agricole efficienti) per consentire al villaggio X di coltivare i propri terreni, di meccanizzare l'agricoltura in forme cooperative di territorio; costruire scuole, ospedali, e fornire le attrezzature conseguenti; attrezzare officine per la produzione e riparazione delle attrezzature, ecc... In tal modo lo slogan "aiutiamoli a casa loro" non sarebbero parole al vento per lavarsi o scaricarsi la coscienza, ma diventerebbero politiche solidaristiche per aiutare gli abitanti a stare bene a casa loro. Inoltre, dopo secoli di rapina, sarebbe un modo per risarcire quelle popolazioni. Queste politiche dovrebbero servire anche a bypassare i governi corrotti, che normalmente intascano gli aiuti, sottraendoli ai loro cittadini. Tutto ciò dovrebbe essere promosso, nelle società opulente, da governi democratici e popolari interessati AL BENE COMUNE.

  3. Al contrario di quanto detto prima, oggi lo scenario ci rimanda a politiche migratorie ciniche e miopi: il migrante è visto solo come merce da sfruttare per abbassare il costo del lavoro. Quindi, la politica migratoria dei cosiddetti Paesi democratici, si limita a "salvare in mare" le persone per poi rinchiuderli nei campi di presunta "accoglienza" e, dopo, scaricarli, senza alcuna forma di vera integrazione, davanti ad un supermercato a chiedere l'elemosina, o agli incroci come lavavetri, o ancora come spacciatori in mano alla criminalità mafiosa. Infine, per la maggior parte di loro, a praticare il dumping salariale nelle fabbriche dell'Occidente ricco. In questo becero scenario si sommano due tipiche reazioni popolari: nel caso degli xenofobi, ci si lagna di vederli nelle città a mendicare, con qualche ragione: perché non è per nulla dignitoso gettare il migrante nella disperazione; nel campo "buonista" ci si scandalizza della mancata accoglienza e si invoca un generico "accogliamoli tutti, senza se e senza ma" che porta solo acqua al mulino xenofobo.

  4. nel generale sconquasso indotto dalla precarizzazione delle condizioni di vita e di lavoro che mina la convivenza sociale e le prospettive future, le classi medio-basse e popolari hanno subito negli ultimi decenni un impoverimento progressivo. Ciò oltre a generare una serie di paure per il presente, determina anche angoscia del futuro, ecco perché non affrontare con misure concrete gli aspetti di riequilibrio sociale e le politiche migratorie è un crimine da parte di qualsiasi governo che si definisce democratico. Le diverse classi sociali reagiscono alle condizioni di incertezza e di precarietà con una "chiusura a riccio", ciò avveniva nell'antichità come avviene oggi. Ecco perché dirimere la questione dell'accoglienza degli stranieri diviene direttamente collegato ad una riflessione approfondita delle condizioni di vita di tutti. Senza una visione complessiva della totalità dei fenomeni si resta legati ad una semplificazione senza costrutto e senza prospettive.

La visione moderna è accecata dal nichilismo, spesso dal solipsismo, senza mai affrontare la realtà in modo razionale e totale, cedendo, perciò a micro-visioni egoistiche e scellerate o a visioni "buoniste" lastricate da belle parole ed intenzioni parziali e pertanto fallaci.

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