Il crollo del muro e dell'esperienza del "socialismo reale"

Quando si commenta il crollo del muro di Berlino si osservano due tendenze principali: una che ritiene "il crollo" un passo avanti verso la democrazia e lo sviluppo; un'altra che lo ritiene una sciagura che ha determinato la fine dell'esperienza comunista.  Gli entusiasti del crollo e i delusi dal crollo.

Se analizziamo le cause possiamo però articolare meglio le analisi: a) lo scarso tenore di vita delle popolazioni tedesche dell'Est, b) il controllo ossessivo e pervasivo del Partito sulla vita quotidiana, c) l'impiego di ingenti risorse in armamenti e la scarsa capacità produttiva delle industrie statali, d) il richiamo (il desiderio di accedere) alla società dei consumi, con il conseguente sogno di vivere come i compatrioti dell'Ovest.  In definitiva: la penuria di risorse destinate al popolo, la condizione di arretratezza in termini di soddisfazione dei bisogni, la limitazione della libertà individuale e la eccessiva sottomissione dell'individuo alle linee guida del Partito dominante, la scarsa capacità di dialettizzare le contraddizioni all'interno della società, hanno sconquassato il regime comunista tedesco.  Tutto ciò era ulteriormente condizionato dal generale deperimento in tutta l'area del blocco socialista.  Infatti i problemi evidenziati erano in logoramento già da alcuni anni subito dopo la fase della guerra che aveva compattato il mondo comunista.

Il sogno di uguaglianza che aveva fatto vincere la Rivoluzione d'Ottobre e aveva permesso al popolo, per la prima volta nella Storia, di prendere il potere e governare, era crollato per l'errata interpretazione dei desideri del popolo.  Una volta liberato il popolo, voleva l'uguaglianza, la libertà, ma non voleva una vita di stenti e di controllo sociale sistematico su tutti gli aspetti più intimi della persona.

La contraddizione tra  legame sociale/ individualismo rimaneva latente, ma non veniva superata e risolta.

Nella scelta tra la fedeltà al "legame sociale" e la "libera individualità" era inevitabile che emergesse la seconda tendenza.  I dirigenti del Partito comunista non avevano, nella loro formazione culturale, gli strumenti di analisi delle categorie sociali per comprendere questa semplice verità.  Credevano che deterministicamente la storia andasse da sola verso la realizzazione del modello prestabilito.

Errore fatale, ma iscritto nella stessa concezione del "crollo del capitalismo" ( che doveva inevitabilmente liberare le forze per la rivoluzione), ha prodotto, loro malgrado, il crollo "del muro" e dell'esperienza "comunista".

Il determinismo, il meccanicismo, implicito della concezione storica del mondo comunista (di cui Marx aveva poca o nulla responsabilità) fece credere ciecamente nello svolgimento della Storia in una direzione obbligata. Eppure era chiaro che i processi storici sono più probabilistici che determinati dal fato.  Le scelte delle classi dirigenti possono imprimere una direzione, ma nulla è scontato.

Il potere, inoltre, corrode la società e i suoi organi; se a ciò aggiungiamo l'ottusa visione di alcuni vertici che intendevano imporre "l'uomo nuovo" a colpi di decreto, le conseguenze erano contenute nelle stesse premesse scontate.

Il risultato del "crollo" è stato un mondo ridotto all'unipolarità, con l'egemonia del mondo occidentale a guida Usa e la dismissione dei concetti di uguaglianza, libertà che dovevano costituire la stella polare dei movimenti popolari giunti al potere.

 

 

Scrivi commento

Commenti: 0