il sol dell'avvenir

Karl Marx, di cui sono solo un umile allievo, analizzando la lotta di classe e il soggetto che poteva rovesciare il capitalismo concludeva che: " i proletari non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene". Questa previsione-auspicio era basata sull'osservazione del proletariato ottocentesco che era stato cooptato nelle fabbriche dalle campagne. Allora questa osservazione aveva un senso, purtroppo però, oggi non è più valida. La successiva lotta di classe ha dimostrato abbondantemente due verità inconfutabili: a) il proletariato, lungi dall'essere "rivoluzionario" per definizione, si rivela nel suo insieme corruttibilissimo e adattabile come la piccola borghesia.  Una volta conquistato dalle lusinghe capitalistiche (auto, lavatrice, tv, cucina americana, e in qualche caso casa di proprietà), il proletariato si adatta al contenitore capitalistico, come l'acqua dentro un vaso. La forma può variare, ma l'adattabilità resta.

Ciò che fa la differenza nella lotta di classe è che la classe dominante è in possesso di un differenziale di sapere e potere ineguagliabile rispetto al proletariato.   

Non a caso sia Marx che Gramsci insistevano moltissimo sull'istruzione e la cultura come fattore necessario all'emancipazione. Anche all'interno delle forze che si mettono alla guida del proletariato il differenziale rimane (vedi il PCUS o il PC Cinese dove chi detiene questo differenziale comanda e domina indiscusso), con la conseguenza che alla classe dominante di prima si sostituisce una nuova classe dominante di eminenze grigie di partito ed in genere queste non hanno contrappesi che limitino il loro strapotere.

In tutto ciò il proletariato fornisce manodopera stakanovista ad alta produttività perché motivata dalla "fede rivoluzionaria" e lentamente la repubblica dei soviet trapassa da esperimento comunista a forma moderna di Capitalismo di Stato con a capo il Partito Unico.

Questa è in estrema sintesi la storia dell'implosione dell'Urss e del Capitalismo Cinese.

b) la seconda questione che Marx poteva solo intuire ma non lo esplicitò apertamente riguarda la capacità del Capitalismo di adattarsi alle contraddizioni, assorbendo la Negazione posta dalle forze rivoluzionarie, entro il processo di superamento, per giungere ad una nuova forma di neutralizzazione.

Certo permangono le crisi sconvolgenti inerenti al capitalismo stesso, che ne genera di continuo, ma al contrario di chi ne vedeva le premesse per la sua fine, il capitalismo riesce a trasformare le proprie forme di dominio e produzione al fine di sopravvivere.   Ciò avviene a prezzo di enormi distruzioni naturali del Pianeta e di trasformazioni sociali devastanti contrassegnate da una vita sempre più precaria per la maggior parte dell'umanità.  Permane dentro alla contraddizione la sua negazione per un ulteriore superamento, ma non alle viste.

Ciò non inficia la forza dell'analisi marxiana sulla contraddizioni intrinseche al capitale che, a lungo andare, si scaverà la fossa, ma è evidente che le crisi non sono di per sé definitivamente letali.   Per il momento il capitalismo ha ancora dei margini di trasformazione che genereranno grandi sconquassi.

Inoltre il capitalismo di questa epoca è prevalentemente finanziario, domina su tutto, trasforma persino le produzioni piegandole alle proprie esigenze.   La merce è succube del denaro che la determina.   La merce-denaro è succube delle transazioni automatizzate dagli algoritmi del Massimo Profitto.

Tutta la catena infernale e veloce dei flussi finanziari avanza furiosamente mangiando fette consistenti del mercato materiale dei beni prodotti.

Come belve fameliche, le oligarchie finanziarie si contendono le risorse geostrategiche del pianeta a colpi di affari sui mercati finanziari e, quando le crisi si acuiscono, anche sul terreno della guerra guerreggiata.

Tuttavia ciò che oggi va rivisto nell'analisi di Marx è l'automatismo che molti post marxisti attribuivano alle crisi. Non basta una o più crisi per il superamento del Capitalismo, e perché esso cada da sé o con qualche spallata rivoluzionaria, occorre molto di più.   Occorre che larga parte della popolazione si renda conto della ferocia e della devastazione prodotta da questo sistema e che smetta supinamente di difenderlo come "male necessario" o come "il migliore dei mondi possibili".

Non si tratta di un male necessario, né del migliore dei mondi possibili, si tratta di una forma storica che trapasserà, e che nel periodo di transizione crea grandi scompensi alla vita naturale e sociale.

E' inevitabile che non sarà il proletariato l'unico soggetto che può mettere fine a questa forma di società.

Anche perché, nel frattempo, il Capitalismo ha messo in atto un processo di atomizzazione della vita sociale, per cui ogni abitante diventa atomo o tutt'al più molecola familiare disgregata, divisa, frantumata.

Non esiste più il luogo di aggregazione delle masse lavoratrici, la Grande Fabbrica,  vengono meno le tutele sociali e contrattuali di categoria, rimangono i singoli individui, slegati dal resto della società.

Infatti le lotte diventano minime rivendicazioni economiche senza pretese di minoranze e gruppetti sparsi di lavoratori o addirittura di singoli.

Lo sfacelo sociale derivante da questa forma contemporanea di rapporto di lavoro determina una disgregazione di qualsiasi capacità di lotta e rivendicazione sociale, nonché del modo di vivere della società stessa che trova rifugio temporaneo nel trastullo dei non-luoghi dei Centri commerciali o nella visione stanca dei campionati di calcio.

La politica delle oligarchie finanziarie per il momento ricalca il modello romano del panem et circenses.

Che il superamento del capitalismo sia sempre più una necessità, per evitare di finire a vagare come atomi in una società liquefatta, è una verità autoevidente.

Bisogna vedere se appropriandosi di maggior sapere i soggetti sapranno far tesoro di un sapere critico, non omologato, e se sapranno cooperare e coordinarsi per affrontare le sfide imposte da questo sistema feroce e selvaggio conquistando il potere.

Purtroppo i luoghi del sapere non sono le università, ormai intrise di Pensiero Unico e di luoghi comuni, né possono esserlo i media in mano alle oligarchie dominanti che si prodigano per fornire un'unica modalità di informazione.

Le giovani generazioni sembrano per ora preoccupate dal futuro materiale della loro vita e non sembrano interessate a "cambiare il mondo".

Pertanto per ora è azzardato fare previsioni sulle forme di cambiamento, l'importante è che venga di nuovo riscoperta l'importanza della comunità solidale e cooperativa che è detentrice di etica e di vitalità.

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